Ascolti di musica

Tra le tante iniziative del Corso di Elettronica, anche  quella  dello studio ed analisi della Musica. Tra le tematiche trattate, in particolare, le opere maggiori di De Andrè (Non al denaro non all'amore ne al cielo e La buona novella) ed il Requiem di Mozart. Gli incontri e le discussioni prevedevano l'ascolto ed il commento dei brani, con analisi sia del contenuto letterario che del linguaggio musicale. L'interesse dei ragazzi è stato davvero notevole.

  

La buona novella

(1) Laudate Dominum

 

L’infanzia di Maria

 

Forse fu all’ora terza,

forse alla nona,

cucito qualche giglio

sul vestitino alla buona,

forse fu per bisogno

o peggio, per buon esempio,

presero i tuoi tre anni (2)

e li portarono al tempio.

Presero i tuoi tre anni 

e li portarono al tempio.

 

Non fu più il seno di Anna,

fra le mura discrete,

a consolare il pianto,

a calmarti la sete;

dicono fosse un angelo

a raccontarti le ore,

a misurarti il tempo

fra cibo e Signore.

A misurarti il tempo

fra cibo e Signore.

 

Scioglie la neve al sole,

ritorna l'acqua al mare,

iI vento e la stagione

ritornano a giocare.

Ma non per te, bambina

che nel tempio resti china.

Ma non per te, bambina,

che nel tempio resti china.

 

E quando i sacerdoti

ti rifiutarono alloggio,

avevi dodici anni

e nessuna colpa addosso:

ma per i sacerdoti

fu colpa il tuo maggio (3),

la tua verginità

che si tingeva di rosso (4).

La tua verginità

che si tingeva di rosso.

 

E si vuol dar marito

a chi non lo voleva,

si batte la campagna,

si fruga la via,

Popolo senza moglie,

uomini d’ogni leva,

del corpo di una vergine

si fa lotteria.–

Del corpo di una vergine

si fa lotteria.

 

– Sciogli i capelli e guarda,

già vengono ! –

Guardala, guardala, scioglie i capelli (5),

sono più lunghi dei nostri mantelli,

guarda la pelle tenera, lieve,

risplende al sole come la neve.

 

Guarda le mani, guardale il viso,

sembra venuta dal Paradiso,

guarda le forme, la proporzione,

sembra venuta per Tentazione.

 

Guardala, guardala, scioglie i capelli,

sono più lunghi dei nostri mantelli,

guarda le mani, guardale il viso,

sembra venuta dal paradiso.

Guardale gli occhi, guarda i capelli,

guarda le mani, guardale il collo,

guarda la carne, guarda il suo viso,

guarda i capelli del paradiso.

 

Guarda la carne, guardale il collo,

sembra venuta dal suo sorriso,

guardale gli occhi, guarda la neve,

guarda la carne del paradiso. –

 

E fosti tu, Giuseppe (6),

un reduce del passato,

falegname per forza

padre per professione,

a vederti assegnata,

da un destino sgarbato,

una figlia di più

senza alcuna ragione,

una bimba su cui

non avevi intenzione.

 

(7) E mentre te ne vai,

stanco d’essere stanco;

la bambina per mano,

la tristezza di fianco,

pensi – quei sacerdoti

la diedero in sposa

a dita troppo secche

per chiudersi su una rosa,

a un cuore troppo vecchio

che ormai si riposa –.

Secondo l'ordine ricevuto,

Giuseppe portò la bambina nella propria casa

e subito se ne partì per dei lavori

che lo attendevano fuori della Giudea.

Rimase lontano quattro anni.

 

II ritorno di Giuseppe

Stelle, già dal tramonto (8),

si contendono il cielo a frotte,

luci meticolose

nell’insegnarti la notte.

Un asino dai passi uguali,

compagno del tuo ritorno,

scandisce la distanza

lungo il morire del giorno.

 

Ai tuoi occhi, il deserto,

una distesa di segatura,

minuscoli frammenti

della fatica della natura.

Gli uomini della sabbia

hanno profili da assassini,

rinchiusi nei silenzi

d’una prigione senza confini.

 

 

Odore di Gerusalemme,

la tua mano accarezza il disegno

d’una bambola magra,

intagliata nel legno.

La vestirai, Maria,

ritornerai a quei giochi

lasciati quando i tuoi anni

erano cosi pochi. –

 

(9) E lei volò fra le tue braccia

come una rondine,

(10) e le sue dita come lacrime,

dal tuo ciglio alla gola,

suggerivano al viso,

una volta ignorato,

la tenerezza d’un sorriso,

un affetto quasi implorato.

 

E lo stupore nei tuoi occhi

sali dalle tue mani

che, vuote intorno alle sue spalle,

si colmarono ai fianchi

dalla forma precisa

d’una vita recente,

di quel segreto che si svela

quando lievita il ventre.

 

E a te,

che cercavi il motivo

d’un inganno inespresso dal volto,

lei propose l’inquieto ricordo

fra i resti d’un sogno raccolto.

 

 

II sogno di Maria

(11) Nel grembo umido, scuro del tempio,

l’ombra era fredda, gonfia d’incenso (12);

l’angelo scese, come ogni sera,

ad insegnarmi una nuova preghiera;

poi, d’improvviso, mi sciolse le mani

e le mie braccia divennero ali,

quando mi chiese – conosci l’estate –

io, per un giorno, per un momento,

corsi a vedere il colore del vento.

 

Volammo davvero sopra le case (13),

oltre i cancelli, gli orti, le strade;

poi scivolammo (14) tra valli fiorite

dove all’ulivo si abbraccia la vite (15).

Scendemmo là, dove il giorno si perde

a cercarsi da solo nascosto tra il verde,

e lui parlò come quando si prega,

ed alla fine d’ogni preghiera

contava una vertebra della mia schiena.

 

Le ombre lunghe dei sacerdoti

costrinsero il sogno in un cerchio di voci.

Con le ali di prima pensai di scappare

ma il braccio era nudo

e non seppe volare:

poi vidi l’angelo mutarsi in cometa

e i volti severi divennero pietra.

Le loro braccia profili di rami,

nei gesti immobili d'un’altra vita,

foglie le mani, spine le dita.

 

Voci di strada, rumori di gente,

mi rubarono al sogno per ridarmi al presente.

Sbiadì l’immagine, stinse il colore,

ma l’eco lontana di brevi parole

ripeteva d’un angelo la strana preghiera

dove forse era sogno ma sonno non era

Lo chiameranno figlio di Dio –:

parole confuse nella mia mente,

svanite in un sogno, ma impresse nel cuore.

 

E la parola ormai sfinita

si sciolse in pianto,

ma la paura dalle labbra

si raccolse negli occhi

semichiusi nel gesto

d’una quiete apparente,

che si consuma nell’attesa

d’uno sguardo indulgente.

 

E tu, piano, posasti le dita

all’orlo della sua fronte:

i vecchi quando accarezzano

hanno il timore di far troppo forte.

Ave Maria (16)

E te ne vai, Maria, fra l’altra gente

che si raccoglie intorno al tuo passare,

siepe di sguardi che non fanno male

nella stagione di essere madre.

 

Sai che fra un’ora forse piangerai

poi la tua mano nasconderà un sorriso:

gioia e dolore hanno il confine incerto

nella stagione che illumina il viso.

 

Ave Maria, adesso che sei donna,

ave alle donne come te, Maria,

femmine un giorno per un nuovo amore

povero o ricco, umile o Messia.

Femmine un giorno e poi madri per sempre

nella stagione che stagioni non sente.

 

Maria nella bottega del falegname (17)

La gente

Falegname col martello

perché fai den den.

Con la pialla su quel legno

perché fai fren fren;

costruisci le stampelle

per chi in guerra andò

dall'Anubi a Sullemania

a casa ritornò.

 

Il Falegname

– Mio martello non colpisce,

pialla mia non taglia

per foggiare gambe nuove

a chi le offrì in battaglia,

ma tre croci, due per chi

disertò per rubare,

la più grande per chi

guerra insegnò a disertare. –

 

La gente

 – Alle tempie addormentate

di questa città,

pulsa il cuore d’un martello,

quando smetterà ?

Falegname, su quel legno,

quanti colpi ormai,

quanto ancora con la pialla

lo assottiglierai ? –

 

Maria

 – Alle piaghe, alle ferite

che sul legno fai,

falegname, su quei tagli

manca il sangue, ormai,

perché spieghino da soli,

con le loro voci,

quali volti sbiancheranno

sopra le tue croci. –

 

II falegname

Questi ceppi che han portato

perché il mio sudore

li trasformi nell’immagine

di tre dolori,

vedran lacrime di Dimaco’»

e di Tito»’ al ciglio

il più grande che tu guardi

abbraccerà tuo figlio. –

 

La gente

– Dalla strada alla montagna

sale il tuo den den

ogni valle di Giordania

impara il tuo fren tren;

qualche gruppo di dolore

muove il passo inquieto,

altri aspettan di far bere

a quelle seti aceto. –

 

Via della croce

Poterti smembrare coi denti e le mani,

sapere i tuoi occhi bevuti dai cani,

di morire in croce puoi essere grato

a un brav’uomo, di nome Pilato. -

Ben più della morte che oggi ti vuole,

t’uccide il veleno di queste parole:

le voci dei padri di quei neonati,

da Erode, per te, trucidati.

Nel lugubre scherno degli abiti nuovi

misurano a gocce il dolore che provi:

trent’anni hanno atteso, col fegato in mano,

i rantoli d’un ciarlatano.

 

Si muovono curve, le vedove in testa,

per loro non è un pomeriggio di festa;

si serran le vesti su gli occhi e sul cuore

ma filtra dai veli il dolore:

fedeli umiliate da un credo inumano

che le volle schiave già prima di Abramo,

con riconoscenza ora soffron la pena

di chi perdonò a Maddalena,

di chi con un gesto soltanto fraterno

una nuova indulgenza insegnò al padreterno,

e guardano in alto, trafitti dal sole,

gli spasimi d’un redentore.

 

Confusi alla folla ti seguono muti,

sgomenti, al pensiero che tu li saluti:

A redimere il mondo –

 gli serve pensare,

il tuo sangue può certo bastare.

La semineranno per mare e per terra

tra boschi e città la tua buona novella,

ma questo domani, con fede migliore,

stasera è più forte il terrore.

Nessuno di loro ti grida un addio

per essere scoperto cugino di Dio:

gli apostoli han chiuso le gole alla voce,

fratello che sanguini in croce.

 

Han volti distesi, già inclini al perdono,

ormai che han veduto il tuo sangue di uomo

fregiarti le membra di rivoli viola,

incapace di nuocere ancora.

II potere, vestito d’umana sembianza,

ormai ti considera morto abbastanza

e già volge lo sguardo a spiar le intenzioni

degli umili, degli straccioni.

Ma gli occhi dei poveri

piangono altrove,

non sono venuti

a esibire un dolore

che alla via della croce

ha proibito ’ingresso

a chi ti ama come se stesso.

 

Son pallidi al volto,’ scavati al torace,

non hanno la faccia di chi si compiace

dei gesti che ormai ti propone il dolore,

eppure hanno un posto d’onore.

Non hanno negli occhi scintille di pena,

non sono stupiti a vederti la schiena

piegata dal legno che a stento trascini,

eppure ti stanno vicini.

Perdonali se non ti lasciano solo,

se sanno morire sulla croce anche loro,

a piangerli sotto non han che le madri,

in fondo, son solo due ladri.

 

Tre madri

Madre di Tito

 – Tito, non sei figlio di Dio,

ma c’è chi muore nel dirti addio. –

 

Madre di Dimaco

 – Dimaco, ignori chi fu tuo padre,

ma più di te muore tua madre. –

 

Le due madri

– Con troppe lacrime piangi, Maria,

solo l’immagine di un’agonia:

sai che alla vita, nel terzo giorno,

il figlio tuo farà ritorno:

lascia a noi piangere, un po’ più forte,

chi non risorgerà più dalla morte. –

 

Madre di Gesù

– Piango di lui ciò che mi è tolto,

le braccia magre, la fronte, il volto,

ogni sua vita che vive ancora,

che vedo spegnersi ora per ora.

Figlio nel sangue, figlio nel cuore,

e chi ti chiama – nostro Signore –,

nella fatica del tuo sorriso

cerca un ritaglio di paradiso.

Per me, sei figlio, vita morente,

ti portò cieco questo mio ventre,

come nel grembo, e adesso in croce,

ti chiama amore questa mia voce.

Non fossi stato figlio di Dio

t’avrei ancora per figlio mio. –

 Il testamento di Tito

 Tito

Non avrai altro Dio all’infuori di me,

spesso mi ha fatto pensare:

genti diverse venute dall’est

dicevan che in fondo era uguale.

Credevano a un altro’ diverso da te

e non mi hanno fatto del male.

Credevano a un altro diverso da te

e non mi hanno fatto del male.

 

Non nominare il nome di Dio

non nominarlo invano.

Con un coltello piantato nel fianco

gridai la mia pena e il suo nome:

ma forse era stanco, forse troppo occupato,

e non ascoltò il mio dolore.

Ma forse era stanco, forse troppo lontano,

davvero lo nominai invano.

 

Onora il padre, onora la madre

e onora anche il loro bastone,

bacia la mano che ruppe il tuo naso

perché le chiedevi un boccone:

quando a mio padre si fermò il cuore

non ho provato dolore.

Quando a mio padre si fermò il cuore

non ho provato dolore.

 

Ricorda di santificare le feste.

Facile per noi ladroni

entrare nei templi che rigurgitan salmi

di schiavi e dei loro padroni

senza finire legati agli altari

sgozzati come animali.

Senza finire legati agli altari

sgozzati come animali.

 

II quinto dice non devi rubare

E forse io l'ho rispettato

vuotando, in silenzio, le tasche già gonfie

di quelli che avevan rubato:

ma io, senza legge, rubai in nome mio,

quegli altri, nel nome di dio.

Ma io, senza legge, rubai in nome mio,

quegli altri, nel nome di dio.

 

Non commettere atti che non siano puri

cioè non disperdere il seme.

Feconda una donna ogni volta che l’ami

così sarai uomo di fede:

poi la voglia svanisce e il figlio rimane

e tanti ne uccide la fame.

lo, forse, ho confuso il piacere e l’amore:

ma non ho creato dolore.

 

II settimo dice non ammazzare

se del cielo vuoi essere degno.

Guardatela oggi, questa legge di dio,

tre volte inchiodata nel legno:

guardate la fine di quel nazareno,

e un ladro non muore di meno.

Guardate la fine di quel nazareno,

e un ladro non muore di meno.

 

Non dire falsa testimonianza

e aiutali a uccidere un uomo.

Lo sanno a memoria il diritto divino,

e scordano sempre il perdono:

ho spergiurato su dio e sul mio onore

e no, non ne provo dolore.

Ho spergiurato su dio e sul mio onore

e no, non ne provo dolore.

 

Non desiderare la roba degli altri,

non desiderarne la sposa.

Ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi

che hanno una donna e qualcosa:

nei letti degli altri già caldi d’amore

non ho provato dolore.

L’invidia di ieri non b già finita:

stasera vi invidio la vita.

 

Ma adesso che viene la sera ed il buio

mi toglie il dolore dagli occhi

e scivola il sole al di là delle dune

a violentare altre notti:

io, nel vedere quest’uomo che muore,

madre, io provo dolore.

Nella pietà che non cede al rancore,

madre, ho imparato l’amore.

 

Laudate hominem

Laudate dominum

Gli umili, gli straccioni

–II potere che cercava

il nostro umore

mentre uccideva

nel nome d’un dio,

nel nome d’un dio

uccideva un uomo:

nel nome di quel dio

si assolse.

Poi chiamò dio

poi chiamò dio quell’uomo

e nel suo nome

nuovo nome

alri uomini

altri

altri uomini

uccise.

Non voglio pensarti figlio di Dio

ma figlio dell’uomo, fratello anche mio.

Ancora una volta

abbracciammo

la fede

che insegna ad avere

ad avere il diritto

al perdono

sul male commesso

nel nome d’un dio

che il male non volle

il male non volle

finché restò uomo

uomo.

Non posso pensarti figlio di Dio

ma figlio dell’uomo, fratello anche mio.

Qualcuno

qualcuno

tentò di imitarlo

se non ci riuscì fu scusato,

anche lui

perdonato

perché non si imita

imita un dio

un dio va temuto e lodato

 

lodato.

 

Laudate hominem

 

No, non devo pensarti figlio di Dio

ma figlio dell’uomo, fratello anche mio.

 

Commento

 

 

1)      L'opera inizia con Laudate Dominum…terminerà, non a caso, con Laudate hominem !

 

2)      Secondo i Vangeli Apocrifi, Maria, all'età di 3 anni, era stata sottratta alla madre, Anna, e rinchiusa nel Tempio, perché predestinata a divenire madre di Dio.

 

3)      Il tuo maggio = la tua pubertà,…la tua tenera e prima giovinezza.

 

4)      La tua verginità che si tingeva di rosso = … menarca

 

5)      Nota il carattere incalzante,…soffocante…ed al tempo stesso, umiliante… del coro dei pretendenti…all'acquisto! …ricorda molto la condizione della lepre stanata e rincorsa da un branco di cani….desiderosi di sbranarla.

 

6)      Secondo i Vangeli Apocrifi, Giuseppe era un anziano falegname… vecchio rispetto di Maria.

 

7)      Qui la musica ed il tono rauco delle parole sembrano quasi mimare la stanchezza (non solo fisica) di Giuseppe.

 

8)      Nota come la musica e le parole sembrano quasi dipingere lo scenario della notte nel deserto ed il cammino sull'asinello (…dai passi sempre uguali), di Giuseppe.

 

9)      E lei volò tra le braccia… qui la musica diventa sublime…sembra quasi accompagnare quel volo di rondine.

 

10)   E le sue dita come lacrime….beh, bisogna solo chiudere gli occhi, …non ci sono commenti che possano rendere le emozioni che la poesia induce.

 

11)   Anche qui, la musica assume un carattere sublime…è capace, infatti, di creare un'atmosfera onirica che ci rapisce e ci trasporta nel sogno di Maria…facendoci quasi percepire l'umidità del tempio…l'odore dell'incenso,…il freddo ed il buio di quegli immensi e forse anche tetri  spazi del tempio.

 

12)   Freddo, scuro, umido …l’odore d'incenso, le ombre lunghe dei sacerdoti, il cerchio di voci, etc…ciascuno di questi ha un preciso significato !

 

13)   Volammo davvero sopra le case….sembra impossibile … pare proprio di volare assieme a loro.

 

14)   Poi, scivolammo tra valli fiorite: …esprime brillantemente il senso della fluidità dell'etere !

 

15)   Dove all'ulivo si abbraccia la vite: …stupenda descrizione.

 

16)   L'Ave Maria è l'unico pezzo dell'opera pervaso da un velo di serenità, dolcezza e forse anche di felicità. Esso coincide col periodo della gravidanza di Maria. Bellissimo il passaggio - Femmine un giorno e poi madri per sempre, nella stagione che stagioni non sente -.

 

17)   Maria nella bottega del Falegname rappresenta sicuramente il tratto più drammatico de La buona novella. La percussione dei tasti della prima scala del pianoforte ha la straordinaria capacità di riprodurre, contemporaneamente, le tre condizioni che pervadono l'anima di questo pezzo:

·          il martello di Giuseppe che batte nel cuore della notte,… quasi disturbando il sonno gente che dorme (…tempie addormentate di questa città);

·          le palpitazioni di un cuore permeato dal presagio di un triste evento…la morte di un figlio;

·          il rullio dei tamburi che accompagnano al patibolo un condannato a morte.

Attenzione al fraseggio Gente-Falegname-Gente-Maria-Falegname-Gente !

 

(N.B. Tito e Dimaco sono i due ladroni crocifissi assieme a Gesù).